Craco: il borgo fantasma

Craco: il borgo fantasma

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Craco (Cracum Graculum in latino) si trova in provincia di Matera, in Basilicata.

Ormai da tempo immemore è stato battezzato il paese fantasma, a seguito dell’evacuazione avvenuta negli anni 60. Eppure, nonostante il suo centro sia rimasto disabitato, proprio questo l’ha consacrato in tutto il mondo divenendo meta turistica ambita nonché set di numerosi film.

Dov’è

Craco sorge nella zona centro-occidentale della provincia materana, è leggermente rialzato, trovandosi in una zona collinare a circa 390 metri sul livello del mare, praticamente tra mari e monti.

Il territorio variegato regala soprattutto degli splendidi calanchi: solchi profondi scavati dalle acque pluviali che scendono verso valle, su un terreno cretoso.

Storia

Dalle tracce più antiche rinvenute (ossia delle tombe dell’VIII secolo a.c.), si presume che qui vi abbiano riparato alcuni coloni greci di Metaponto. Si suppone che stessero sfuggendo alla malaria e pertanto cercarono rifugio sui colli, scegliendo proprio Craco.

In seguito il paese divenne un centro agricolo abbastanza fiorente, grazie al dominio bizantino. Furono dei monaci italo-bizantini a dare questo impulso, favorendo l’aggregamento urbano.

La prima testimonianza del nome della città è del 1060, quando il territorio fu sottoposto all’autorità dell’arcivescovo Arnaldo di Tricarico, che chiamò il territorio Graculum, ovvero piccolo campo arato.

Medioevo

Il primo feudatario di Craco, tra il 1154 e il 1168, fu Erberto – di orgine verosimilmente normanna -. Ed è proprio a questo periodo che si ascrive la struttura del borgo antico. Le case arroccate che circondano il torrione, al centro.

La città fu un importante centro strategico militare in epoca federiciana, non a caso il torrione domina la valle dei fiumi Cavone e Agri, la via di chi cercasse di penetrare l’interno. Lo stesso torrione, unitamente ad altre fortificazioni quali Petrolla, fungeva da barriera di protezione per città ricche (e “golose”) come Pandosia e Lagaria. Sia l’una che l’altra al di là del corso dell’Agri e prospicienti la Siritide.

Vita militare e vita accademica: Craco divenne anche  sede di una Universitas.

Nel XV secolo, la città si espanse intorno ai quattro palazzi:

  • Palazzo Maronna, situato nei pressi del torrione, con bell’ingresso monumentale in mattoni, e con grande balcone terrazzato.
  • Palazzo Grossi, vicino alla Chiesa Madre. Si caratterizza per un alto portale architravato, privo di cornici. I piani superiori sono coperti da volte a vela e decorati con motivi floreali o paesaggistici racchiusi entro medaglioni. Parte delle finestre e dei balconi conservano ringhiere in ferro battuto.
  • Palazzo Carbone, datato alla fine del quattrocento, dall’ingresso monumentale che venne rinnovato e ampliato a inizio settecento. 
  • Palazzo Simonetti.

Età moderna

Craco fu feudo dei Sanseverino di Bisignano: questi ne possedevano la signoria con la giurisdizione sulle cause civili, criminali e miste, la portolania e la zecca di pesi e misure.

In seguito, nel 1605, fu ceduto per riappianare le casse, presumibilmente a Bernardino Pacello il quale, a sua volta, lo vendette il 5 marzo 1627 a Scipione Putignano che lo lasciò in eredità a sua figlia Veronica.

Nel 1642 anch’essa lo vendette, tramite una procuratrice, per ben 13.500 ducati e la proprietà di Craco ebbe una sorte ironica. Passò da don Camillo Cattaneo, marchese di Montescaglioso, al principe di Cetrano. Tornò tuttavia a Veronica la quale, nel 1652 Veronica Putignano, sposò il dottor don Angelo Latronico ottenendo l’annullamento della vendita.

Il figlio minorenne Nicolò, alla morte del padre avvenuta nel 1664, replicò la vendita stante le difficoltà finanziarie della famiglia. Ottenne una contropartita di 15,000 ducati rateizzati da parte di Carlo Vergara, uomo danaroso residente in Napoli. Il tentativo di annullare la vendita, stavolta, cadde invano.

Da Napoli i Vergara (poi Vergara Caffarelli) si trasferirono nel feudo, apportando diverse migliorie ( lo sviluppo dell’agricoltura e il mercato, la riduzione delle tasse in primis). Nel 1712 vennero insigniti del titolo di duca e mantennero il feudo fino all’abolizione della feudalità, nel 1806, mantenendo tuttavia il titolo nobiliare.

Moti rivoluzionari e brigantaggio

Innocenzo De Cesare nel 1799 rientrò da Napoli ove studiava, prendendo le redini del movimento della “borghesia rurale”, un movimento rivoluzionario della Repubblica Napoletana animato dall’intento di disgregare  i rapporti feudatari che caratterizzavano l’agricoltura del tempo. Tutta la regione fu pervasa da sommosse e tumulti, culminando con una sconfitta, lavata col sangue, a Palazzo Carbone.

Craco, parimenti, fu coinvolta da questo fenomeno che si espresse con forza durante il decennio napoleonico. Orde di briganti al seguito di capimassa (quali Domenico “Rizzo” Taccone, Nicola “Pagnotta” Abalsamo e Gerardo “Scarola” Vota) supportate anche dal governo borbonico in esilio, attaccarono la città nel luglio del 1807 sfogando rabbia e frustrazione, uccidendo senza pietà i notabili filofrancesi.

Solo a novembre, nel turbine della reazione borbonica postunitaria, l’armata brigantesta capitanata da Carmine Crocco e José Borjes puntò Craco, dopo aver saccheggiat e occupato Salandra.

Crocco narrò in seguito che incontrarono

a mezza via una processione di donne e fanciulli con a capo il curato Colla Croce. Venivano a chiedere clemenza per il loro paese e clemenza fu accordata, poiché non si verificarono che piccoli disordini difficili ad evitarsi con tanta gente e più semplicemente con gente di tal natura.

Viceversa, altri racconti riportanoi tumulti di Craco come non così marginali. Difatti Borjès pare annotò:

riuniamo la truppa […] poi abbiam fatto strada verso Cracca (Craco), ove noi siam giunti a tre ore di sera: la popolazione intiera ci è venuta incontro; e malgrado di ciò, avvennero non pochi disordini.

Anche Giuseppe Bourelly, militare del regio esercito che partecipò alla repressione del brigantaggio lucano, si espresse su quel giorno (l’uscita del paese delle bande in marcia verso Aliano):

Intanto il Maggiore Cappa del 50° di linea informato che Borjés con la sua banda minacciava invadere Miglionico, Grassano e Grottole, radunava in Altamura tutte le truppe ch’erano pronte e si metteva in marcia per Miglionico. Da questo paese andò a Pisticci e da qui si portò a Craco che trovò saccheggiato e nel massimo disordine.

Tra i tanti insurrezionalisti, si distinse un uomo di cultura, il “Cappuccino”. Si trattava del crachese Giuseppe Padovano, ex soldato borbonico datosi alla macchia.

Il soprannome gli fu dato poiché, in età giovanile, era solito frequentare il monastero crachese per studiare. E proprio gli studi ne denotarono quel “quid” che lo portò a spiccare tra i tanti analfabeti dell’epoca.

L’abbandono

Nel 1963 una vasta frana cambiò le sorti di Craco. Si procedette con l’evacuazione, portando numerosi abitanti verso valle, in località “Craco Peschiera”. Allora il centro contava quasi 2000 abitanti.

Pensare che, quella frana, pare abbia origine umana, derivando dai lavori di infrastrutturazione, fogne e reti idriche, a servizio della città stessa.

Nel 1972 Cracò subì anche un’alluvione, che ne impedì un’eventuale ripopolazione del centro storico. Il colpo di grazia avvenne nel 1980, a causa di un terremoto.

Stante l’alto rischio sismico della zona e per prevenire eventuali spostamenti della frana, sono stati posizionati alcuni sensori che, a oggi, hanno evidenziato condizioni di stabilità.

Difatti Craco è rimasta intatta, divenendo un paese fantasma. Nel 2010 è stata addirittura inserita nei monumenti da salvaguardare redatta dalla World Monuments Fund.

Perseguendo un piano di recupero del borgo, il comune nel 2011 ha istituito un percorso di visita guidata, creando appositamente un itinerario messo in sicurezza, che percorre il corso principale del paese, raggiungendo la vecchia piazza principale, sprofondata a causa della frana.

L’anno successivo è stato inaugurato il nuovo itinerario, attraverso il quale è possibile addentrarsi nel nucleo della vecchia Craco.

Monumenti e luoghi d’interesse

Arcate all’interno della Chiesa Madre di San Nicola

Numerosi turisti salgono a Craco per vedere le rovine del paese fantasma e per avventurarsi tra i vicoli e i dintorni. Il terreno argilloso e brullo coesiste con quello marnoso: su uno sperone di marna calcificata dal tempo sorge il torrione, che per i Crachesi è il “castello”. Olivi secolari misti a cipressi antichi sono dal lato del paese verso lo Scalo, quest’ultimo sulla ferrovia calabro lucana da questo lato divelta e abbandonata.

Le contrade

  • “Canzoniere”: prende il nome da un’antica taverna posta lungo un tratturo una volta molto frequentato. La storia vuole che a gestire la taverna fosse una donna affascinante che riduceva in suo potere i malcapitati sedotti dalla sua avvenenza: la maliarda li uccideva e li metteva sotto aceto, facendone il piatto forte della sua osteria.
  • “San Lorenzo”: un’antica fontana a volta, sulla via verso il Cavone dove palme alte convivono con gli olivi sullo sfondo di masserie, arroccate e nel contempo aperte al territorio, come quelle “Galante” e “Cammarota”, con il loro svolgersi su due livelli, gli archi che reggono la scala esterna e i terrazzi che sembrano spalti a difesa di non improbabili attacchi.
  • “Sant’Eligio”: protettore dei maniscalchi trova in Craco un tributo che va al di là della semplice menzione toponomastica, con la sua cappella affrescata, forse del Cinquecento, con le sue scene di santi intorno a un Cristo che pur crocifisso resta Pantocratore.

Cultura

Cinema

Un posto così pregno di storia e di bellezza non è passato inosservato. In primis va citato il colossal di Mel Gibson La passione di Cristo (2004): qui fu ambientata la scena dell’impiccagione di Giuda, seguito da un altro film rilevante, anche perché trasposizione di un libro pilastro della leteratura italiana: l’omonimo Cristo si è fermato a Eboli (1979) di Francesco Rosi. A Craco venne girato l’arrivo di Carlo Levi alla nuova destinazione di confino, Gagliano (per rendere ancora più fedele l’espisodio al libro, si disposero sulle prime case di Craco degli sntendardi a lutto, ancora oggi visibili).

Altri film girati a Craco

  • 1953: La lupa di Alberto Lattuada
  • 1974: Il tempo dell’inizio di Luigi Di Gianni
  • 1985: King David di Bruce Beresford
  • 1986: Oddio, ci siamo persi il papa di Robert M. Young
  • 1990: Il sole anche di notte di Paolo e Vittorio Taviani
  • 1996: Ninfa plebea di Lina Wertmüller
  • 1999: Terra bruciata di Fabio Segatori
  • 2006: Nativity, di Catherine Hardwicke
  • 2008: Quantum of Solace di Marc Forster
  • 2010: Basilicata coast to coast di Rocco Papaleo
  • 2012: Un medico di campagna di Luigi Di Gianni
  • 2015: Montedoro di Antonello Faretta

Televisione

  • Classe di Ferro: in città sono state girate alcune scene della serie TV di Bruno Corbucci
  • O Rei do Gado: telenovela brasiliana di Luiz Fernando Carvalho
  • Spot Pepsi, destinato al mercato giapponese. 

Musica

Il compositore Hauschka ha realizzato un brano dal titolo Craco, inserito nell’album Abandoned City (2014).

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